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VI.
Un giorno era venuta Camilla per una visita.
Vedendola entrare rinfagottata in quel modo, con lo scialle spocchioso, con le dita piene di anelli e uno spillone grande come un quadrante di orologio sul petto, Giacinta, che si era un po’ rimescolata all’annunzio, non potè trattenersi dal ridere.
Camilla, ingrassata, ansimante per la fatica di aver montato tante scale, arrancava peggio di prima.
— Oh, la mia cara padroncina! Come si è fatta grande e bella, con la grazia di Dio!
Seduta con le gambe larghe, le mani sui ginocchi, parlava forte, fermandosi di tratto in tratto, come se le mancasse il respiro.
— Vista per istrada la signora, son venuta... La signora è in collera con me... oh, a torto! Ma io no: sempre la Camilla affezionata a questa casa dove ho servito per otto anni! — La mia bottega di ova e di pollame va benino. La Madonna m’aiuta!... Però mio marito... — Oh, cara, padroncina! Com’è bella! — mio marito comincia a ciurlarmi nel manico... Beve troppo!... Ieri per la prima volta mi ha picchiata!... Però, signorina, lavora tanto! Bisogna compatirlo.
Giacinta, guardandola, con un sorriso di diffidenza sulle labbra, la lasciava dire.
— Ho i miei difetti anch’io... Sempre con tanto di lingua!... Che posso farci?... Se non sbraito, mi par