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tre camicie, sottane, polsini e altri capi di biancheria inamidati friggevano e prendevano il lucido sotto il ferro, la sua parlantina si accresceva. Pareva che recitasse una parte da commedia; specie quando, tralasciato di stirare, mettevasi a far la caricatura della signora Rossi che somigliava a una gru, con quel collo tutto grinze e quel naso, proprio un becco, che voleva ficcarlesi in gola!

Allora seguiva tutta la sfilata.

— E la signora Clerici?

— Alla larga! Uno schizzo di fontana quando tira vento. Bisogna accostarsele coll’ombrello.

— E la signora Maiocchi?

— Quella lì, santa economia! cerca un solo marito per la figliuola e per sè.

— Zitta, linguaccia!

Ma, in verità, quella linguaccia non le dispiaceva, così malamente ella soffriva tutte le amiche di sua madre.

— Però, la signora Villa...

— Gesù! Una rigattiera... Quel vestituccio avana lo portava sin da ragazza. Ora, vi appunta su cogli spilli un po’ di guarnizioni nuove, e festa! Va attorno, con la sua aria di matrona, come se avesse indosso chi sa che cosa...

E si dondolava, col busto in fuori, camminando lentamente. Giacinta moriva dalle risa.

— Pareva proprio quella!

E il ferro tornava a far pan, pon, pan, sul tavolino, quasi battesse la solfa.

— Sa? — riprese Marietta. — Quel babbeo del conte di San Celso si permise, l’altra sera, di darmi un pizzicotto ai fianchi! Ci ebbe poco gusto. Con una gomitata, lo sbatacchiai al muro.

— Poverino!