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— Quella mamma, Signore! Azioni, dividendi, cartelle, bilanci, fedi di credito, operazioni..., non ragionava più d’altro! Come trovare un tantino di tempo per badare alla figliuola?

Il povero babbo restava in disparte. Il commendatore invece pareva il padrone di casa. Questo la irritava. E il Savani le divenne presto antipatico.

— Povero babbo! Era molto invecchiato!

Egli andava spesso a scaldarsi — come soleva dire — nel bel nido della figliuola. Con la barba e i capelli brizzolati di bianco, con la faccia piena di rughe e gli occhi un po’ stupidi, improntati di una rassegnazione animale, si sedeva in un canto del canapè e parlava a monosillabi, o non parlava affatto.

— Babbo, a che pensi? — gli domandava Giacinta.

— A nulla!

Si meravigliava di quella domanda: non ne indovinava la ragione. E un giorno che sua figlia, parlando della mamma con amarezza, aveva alla fine esclamato:

— Che vita! Che vita!

— Va! — egli rispose — Quella donna è fatta così!

Giacinta lo abbracciò tra intenerita e stizzita.

Passava in camera quasi l’intiera giornata, leggendo, lavorucchiando qualche cosina, scrivendo delle lunghe lettere di sfoghi a quella sua amica di collegio che non sapeva chi fosse il proprio babbo, ma aveva però una mamma che le voleva tanto bene! In salotto compariva di rado, massime la sera, infastidita da certe occhiate di quei giovanotti, da certi maligni mezzi sorrisi che le era parso di scoprire sulle labbra di alcune amiche di sua madre.