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Lontana da casa sua, in un’altra città, fra tanti visi nuovi di ragazze grandi e piccine, Giacinta si sentì a disagio. Era vissuta sempre quasi sola, perchè la sua mamma non aveva voluto mai altre bambine per la casa, e quel chiacchiericcio, quelle risate argentine, quei dispettucci, quelle intimità di amiche che facevano lega contro le altre, le mettevano addosso malumore e dispetto, le impedivano di addomesticarsi con le compagne. Nelle ore di ricreazione, rimaneva in camera al suo posto; o si affacciava alla finestra accanto, per guardar fuori, lontano, verso quella collina piena di alberi, sparsa di casette bianche con le finestrine che parevan buchi nel muro.

— Ci si doveva star bene colà, all’ombra degli alberi, in mezzo all’erba dei campi, soli soli.

E una confusa visione della campagna e della cascina della balia le passava per la mente quando, piccina ancora, vagava pei prati sotto la sferza del sole e sotto la pioggia, e tornava tutta intrisa di mota alla cascina, coi capelli arruffati, pieni di sterpolini e di foglie secche e col vestitino in brandelli!

Dopo alcuni mesi però s’era affezionata a una bambina della sua età, che quasi evitata dalle compagne restava anche lei in disparte.

— Lo hai tu il babbo? — le domandava questa con una vocina di tristezza.

— Io sì; e anche la mamma.

— Io ho la sola mamma.

— E ti vuol bene?

— Oh, tanto! Viene a trovarmi tutti i giorni.

Giacinta la invidiava.

Invece, il suo babbo e la sua mamma venivano a