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— Vieni qui! sta’ ferma!
L’accarezzava, le passava la mano tra i capelli, la baciava forte, con le labbra calde calde.
— Sta’ ferma! — ripeteva, con una specie di rantolo.
— Che hai?... Lasciami andare!
— Baciami anche te! — insisteva Beppe, tenendola più stretta.
Sentendosi quasi soffocare dal caldo insoffribile:
— Lasciami... Mi fai morire! — gridò ripetutamente, smaniando.
Beppe aperse le braccia.
— Brutto!
E, datogli sulla guancia col rovescio della manina, scappò pel giardino.
— Cucurucù, Cucurucù!
Saltellava allegramente sull’entrata della galleria battendo le mani: cucurucù! mentre Beppe avanzasi carponi, col fare lento di un gatto che stia per slanciarsi sul topolino. Ma lei, via, di corsa. Allora la inseguì rotolandosi pel viale, grugnendo, miagolando, abbaiando. La bambina, fermavasi un istante per lasciarlo accostare, e prendeva la rincorsa...
— Oh, bravo! Oh, bravo!
Beppe, poggiate le palme sul terreno e levate in alto le gambe per una bella capriola, si era rialzato lestamente, a piedi giunti, con le braccia in croce e una smorfiaccia sul viso.
Da quel momento non l’aveva lasciata più in pace, minacciandola:
— Se non voleva far il chiasso a quel modo!...
Talchè la bambina, impaurita, ora lo invitava, prevenendolo; attratta anche da un inconsapevole compiacimento di cosa vietata, dopo che gli sentiva ripetere: