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rebbe un giorno, arriverebbe un momento che anche tu saresti così vile...
E tacque coprendosi la faccia con le mani. Un tremito di ribrezzo le correva per tutto il corpo.
— No, è impossibile!... Tu sai...
Esitava. Evidentemente il parlare le costava un grande sforzo. Andrea le fece cenno di no.
— Non mentire, tu lo sai! — replicò con dignitosa alterigia. — In questo punto non saprei tollerare nemmeno la tua pietà: comincerei a disamarti.
— T’amo! — rispose Andrea — T’amerò sempre! So dimenticare; l’hai già veduto. Perdonare?... Non è il caso.
— Non m’illudi — lo interruppe Giacinta. — Ti vo’ troppo bene da mettermi a repentaglio di doverti odiare o disprezzare, che sarebbe anche peggio. Senti, Andrea; non fare più scene; te ne supplico! Non far comprendere alla gente che tu sii per me qualcosa più degli altri... E se ti pesa l’essere amato a modo mio, se non hai più la forza o il coraggio di continuare ad amarmi... lasciami in pace; sarà quel che sarà!... Che posso dirti di più?
— Ma io t’amo tanto!
Giacinta, commossa, abbandonò la mano in quelle di Andrea.
— Già, ad una spiegazione dovevamo venirci. Ti vedevo, da qualche tempo, così irrequieto, così smanioso...
— Come non esserlo?
— Ora non più, è vero? Avrai fede in me, sarai prudente, non t’adombrerai di nulla; è vero? Sono un po’ diversa dalle altre donne; forse son fatta male. Non è colpa mia... Sì, son fatta male! Me ne accorgo... Ah se tu sapessi quello che ho sofferto!...