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ch’io che non so suonare nemmen le campane. Ecco qui!
E il Ratti si mise a pestare all’impazzata sui tasti, lavorando furiosamente di pedale. I bassi muggivano come tori feriti; gli acuti stridevano con un miagolio indiavolato.
— Bravo! Bravo!
Il conte Grippa cominciò a batter le mani il primo, sgangherandosi la bocca dalle risa.
— Bravo!...Benissimo!
Tutti gli fecero coro. Quella grassona della signora Mazzi, a cui il gran ridere dava il convulso, si aggravava con tutta la persona sopra una spalla del Merli che, piccino com’era, aveva paura di essere schiacciato.
Con tal successo e con tanta ressa di persone attorno al pianoforte, il Ratti pestava, pestava sulla tastiera, stralunando gli occhi, agitando il capo come in preda all’ispirazione musicale, facendo le viste di svenirsi nei momenti patetici.
— Povero pianoforte! — disse allora la signora Villa a la Marulli che, a quel chiasso, aveva smesso di parlare, nell’angolo dov’eran rimaste esse sole.
Profittando della confusione, Giacinta si era avvicinata a Gerace. Imbroncito, in disparte, Andrea lisciava le foglie della gypsophilla paniculata posta in un vaso di porcellana su un treppiede di bronzo.
— Che ti prende? — gli disse sdegnosamente sotto voce, passando oltre senz’attendere la risposta.
— Beene!... Braavo!... Beeenissimo!
Ratti, dato un ultimo strappo alla tastiera, si applaudiva da sè, battendo le mani più forte degli altri.