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giuoco discutendo, col signor Rossi e il cavaliere Clerici, l’ultima partita di tressette. Il Signor Marulli voleva giustificare, a tutti i costi, una giocata andatagli male.

— Babbo, devi aver torto — gli disse Giacinta, sforzandosi di parer di buon umore. — Ha perduto, è vero cavaliere?

— Come sempre — rispose Clerici.

Il Signor Marulli protestava.

Ranzelli intanto, rimasto a riflettere sulle ultime parole di Giacinta, si arrabbattava colle dita contro un bottone della divisa che stentava a entrare in un occhiello. Poi, vedendo passare il commendatore Savani scappato da un piccolo crocchio di persone con le quali era stato lungamente a discorrere, gli si accostò, dicendo:

— Buoni affari, commendatore?

— Ah! gli azionisti son più noiosi delle mosche — rispose Savani.

— Il miele dei dividendi li attira! — aggiunse il Ratti salutandolo e ammiccando malignamente al capitano e alla Maiocchi la quale aveva alzato la testa lasciando di parlare al cavaliere Mochi in un orecchio.

Questi, con la lente all’occhio sinistro, senza smettere di osservare le fotografie del grande album aperto sul tavolino, rispondeva alla signora Maiocchi:

— V’ingannate, non mi riguarda.

— Andate là! Come antico cugino della mamma, dovrebbe interessarvi.

E dondolava il capo affermativamente, benchè Mochi le dicesse:

— Niente affatto! Quella parentela costava troppo, allora; e non valeva quel che costava. Oh! io sono sempre economo in vita mia.