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la parte dove la signora Marulli, col vestito nero accollato, orlato da un goletto bianchissimo, a cartocci, che dava risalto alla sua bella testa di donna matura, pareva ragionasse fitto fitto colla signora Villa, senza neppure badare ai continui dinieghi di questa.
Poco dopo, Giacinta diceva al capitano:
— Gerace ci mangia con gli occhi.
— Peggio per lui!
Questa volta il Ranzelli non si degnò di voltarsi. Giacinta, però, continuò a guardare laggiù, verso il pianoforte.
Da un pezzetto Andrea Gerace non prestava più orecchio alla signora Maiocchi che, seduta dirimpetto a lui, pareva gli parlasse di qualche cosa interessante, facendo ballare i nastri, i fiori, i tralci della sua enorme pettinatura. Egli tormentava, ora con una mano ora coll’altra, la punta dei suoi baffettini incipienti e aveva negli occhi tutto il dispetto per quella eterna conversazione tra il capitano e Giacinta.
— E i dieci minuti? — diceva infatti Giacinta, con aria di rimprovero, al Ranzelli.
— Per me non sono ancora passati..., se non la infastidisco.
Giacinta gli accennò di continuare, col ventaglino di tartaruga a cui teneva appoggiata la faccia; e riprese a fissare Gerace, che, pallido, cogli occhi intorbidati, non ne perdeva il più piccolo movimento. La signora Maiocchi, nella foga del ragionare, non gli aveva badato; ma quando gli vide rizzare improvvisamente il capo, si voltò subito indietro agitando il pensile giardino della sua testa, per vedere che cosa accadesse.
Il Ranzelli, accostata un po’ più la seggiola alla