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chi sa quale discussione tra il Gessi e il giovine Porati. Se n’erano appellati a lei, pareva... Oh! Sapevano scegliere quei due!

— Eh?... dico bene? — domandò il capitano.

— Sì, sì.

Giacinta aveva risposto chinando lievemente il capo, senza interrompere la sua rassegna.

Dal sedile a foggia di un’esse posto nel centro del salotto, la signora Rossi, che ragionava col Merli — parlava sempre lui quel buratto! — li spiava di sbieco, con la sua aria maligna di magra stecchita, storcendo più del solito gli occhi sul faccione da mula. Quei due occhi collo strabismo davano a Giacinta il mal di capo ogni volta che le accadeva di fissarli un tantino; e per ciò li aveva subito evitati. Ma s’era incontrata con gli sguardi pettegoli della Gina, la nipote della signora Rossi. Voltavasi anche essa, di tanto in tanto verso di loro, forse per distrarsi dal conversare con quel grullo del conte Grippa di San Celso che, piantato davanti a lei, piegato in arco, colle braccia incrociate sulla schiena, le spalancava in viso la bocca enorme; forse, perchè moriva dalla curiosità di sapere di che discorressero, con tanto interesse, quei due.

Proprio in quel punto Giacinta si era messa a sorridere, soddisfatta, abbassando le palpebre, scotendo lentamente il capo in segno di conferma, intanto che il Ranzelli, eretto sulla vita, impettito, scuro in viso, mordevasi i baffi e si guardava, per darsi un contegno, le mani.

Alzando gli occhi, ella scorse in un angolo sua madre che le gettava, di sfuggita, certe occhiate penetranti come un succhiello.

— La mamma ci osserva — disse al capitano.

— Tanto meglio — rispose questi, guardando dal-