Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 236 — |
Come gli era grata d’esser venuto a vederla per l’ultima volta! La vita le dava con lui l’estremo sorriso!
Fino a quel momento la figura d’Andrea era rimasta rannicchiata nell’ombra, tenuta in disparte dal sentimento d’odio e disprezzo, scoppiatole nel cuore la sera avanti, quando egli aveva detto: Se mento, è per te, unicamente per te!...
— Ingrato!... Vigliacco!...
Ma ecco, ella cominciava a provare una strana inquietudine, un bisogno di vederlo arrivare da lei alla solita ora. Sul punto di staccarsene per sempre, la stringeva una tenerezza piena di compassione per colui ch’era stato tutto, proprio tutto, per lei.
— Perchè accusarlo? Una forza superiore ci preme tutti e due!... M’amava davvero, senza secondi fini, con lo stesso ardore con cui m’ero gettata fra le sue braccia! Se ora non m’ama più, se il nostro amore, creduto tale da dover durare eterno, è stato più corto d’un sogno, che colpa n’ha lui?... E tarda a venire appunto oggi!... Oh! Vorrei morire perdonandogli, dicendogli che muoio per averlo troppo amato!
Indugiava, con una specie di crudele piacere, più non temendo che la volontà e il coraggio le fallissero nel punto di metter in atto la sua decisione, o che l’istinto della conservazione le arrestasse in mano lo spillo avvelenato. Provava un’intensa serenità; si teneva già morta. Le pareva già di vivere quella seconda vita, di cui aveva parlato una sera il Mazzi, procuratore del re, uomo grave e spiritista convinto.
— E poi, morire come quell’indiano rammentato dal Follini, tranquillamente, senza soffrire, forse senza che nessuno possa sospettare un suicidio...