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E suonò.

Marietta a vederla straordinariamente pallida, domandò:

— La signora contessa ha passato una cattiva nottata?

— Anzi! Ho dormito troppo.

Nel camerino, seduta davanti allo specchio, tutta avvolta nel bianco accappatoio, Giacinta osservava il suo viso squallido e disfatto, dalle occhiaie livide, dalle labbra contratte. La testa, con i capelli disciolti sulle spalle e gli occhi stralunati, aveva una così strana espressione, ch’ella n’ebbe quasi paura.

Marietta le raccontava intanto la piccola avventura capitatale al veglione la sera innanzi. Il Ratti, scambiatala sotto il domino, chi sa per chi, dopo averle detto un mondo di grullerie, l’aveva invitata anche a cena.

— Cenasti con lui?

— Sempre in maschera. Poi insistette per accompagnarmi a casa...

— E ti lasciasti accompagnare?

— Dovevo affliggerlo? Quando mi vide fermare al portone... Povero signor Ratti!

Giacinta sorrise.

Più tardi, venne il dottor Follini. Chiedeva qualche soccorso per una sua ammalata.

— È giovane? — domandò Giacinta.

— Giovanissima e bella. Il lavoro la uccide.

Giacinta gli diede un biglietto da cento lire.

— Grazie!... È anche troppo. Come sarà contenta quella infelice!

— Guarirà? — riprese Giacinta, dopo una breve pausa.

— Oh, no! E vorrebbe vivere!

— Con una vita così piena di stenti?