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Andrea mancava di rado; un’aura di fortuna lo favoriva, dopo una disdetta di parecchi mesi. Quella sera però non si sentiva in vena; era di cattivo umore.
— No, non seggo, — rispose al Ratti, che voleva fargli posto accanto a sè.
E andò vicino al cavalier Mochi, da cui gli era stato accennato d’accostarsi.
— Sapete? L’ha messo alla porta il povero Merli.
— Come ne sarà contento! — rispose Andrea.
— Ah, questa è carina!
— Che c’è di nuovo? — domandò Porati, alzando il suo faccione apoplettico, rimescolando le carte.
Mochi ripetè la risposta d’Andrea.
— Non è carina?
— Perfetta!
Mentre tutti ridevano, il Mochi s’era piegato verso l’orecchio del ricevitore, che si mangiava i baffi zitto zitto.
— Un giorno o l’altro, — gli disse, — Giacinta farà lo stesso con lui. Il dottor Follini sta per dargli il gambetto.
Colui continuò a rodersi i baffi, senza rispondere; perdeva.
— Ecco il vostro fante di cuori! — esclamò il Porati, rivolgendosi a Gerace.
Andrea, dopo aver risposto col capo che quella sera non giocava, a un tratto, mutato parere, cavò dal portamonete un biglietto da cinquanta, lo avvolse a pallottola e lo buttò sul tappeto verde. Il fante di cuori vinceva.
— E bisogna anche pregarvi! — disse il Porati con stizza.
Ratti insisteva perchè Andrea andasse a sederglisi accosto: