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— Quanto? Un centinaio di mila lire? Una cosina da nulla; eccole qui.
Stese la mano a un pezzettino di carta e, fattovi su col lapis un ghirigoro, glielo porse, ridendo:
— Un buono per la Banca... dei miei sospiri; sarà pagato a vista. Ora vado di là a prendere le carte e a chiamare la mamma.
Mentre Gerace, levatosi in piedi, rimescolava solennemente il mazzo, era comparsa sull’uscio la signora Emilia, pallida, scarna coi grandi occhiali sulla punta del naso, e la calza pendente dal filo passato dietro il collo. Guardava tristamente la sua povera figliola, che seguiva, attentissima, l’operazione d’Andrea.
Questi, rimboccatesi le maniche del vestito, strette le carte fra l’indice e il pollice d’una mano, le faceva scoppiettare con l’indice e il pollice dell’altra, come un prestigiatore:
— Osservi bene. Sono le sue carte; non gliel’ho mica scambiate, attenta, dunque: incomincio!...
— Chi sa quale scherzo sta per farmi, al suo solito?
— Lo crede uno scherzo? Allora, allora...
— No, no; un miracolone!...
— Voilà! Al mio comando...
Elvira, sopraffatta da un repentino nodo di tosse, diventata livida in viso, s’era abbandonata sul canapè, portando il fazzoletto alla bocca.
— Non è nulla, — si affrettò a dire, rimettendosi quasi subito. — È passato: non è nulla.
Ma non potè nascondere il fazzoletto senza che Andrea non si accorgesse della macchia rossa rimastavi impressa. La signora Emilia era scappata via per non farsi vedere dalla figlia con le lagrime agli occhi.