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Di tratto in tratto, sentiva nella stanza accanto il lieve fruscìo della veste della sua padroncina di casa, che andava e veniva. Il sottile uscio intermedio lasciava facilmente indovinare le diverse occupazioni della ragazza:

— Prende il caffè. — Ravvia. — Si pettina. — Legge il giornale.

E quando ella tossiva, Andrea sollevava il capo dai cuscini. Quella tosse secca e insistente gli faceva male:

— Povera ragazza!

Se s’alzava un po’ più presto, indugiava volentieri in casa fin dopo mezzogiorno, fumando, leggiucchiando, aspettando di sentire nell’andito il passo lesto e leggero di lei, e allora apriva subito l’uscio:

— Buon giorno, signorina.

— Buon giorno, signor Andrea.

— È freddino oggi.

— Non mi pare.

Andrea trovava ogni volta un piccolo pretesto per trattenerla, per farla ridere.

— Donde le cava tante stramberie? — gli diceva Elvira.

— Sono il mio fondo di cassa.

E se scappava via, accesa nel volto, ridendo ancora, egli si ritirava nelle sue stanze col cuore in un’onda soave di mestizia.

Da un mese rincasava quasi periodicamente verso le otto di sera, per un’oretta.

Era sicuro di trovarla nella camera di lei, insieme col babbo e con la mamma, attorno al tavolino rotondo. La signora Emilia, sempre con gli occhiali sul naso, infilava straccamente gli eterni