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quasi legare la lingua e diventar distratta, incoerente. E si alzò, traendo un gran respirone, come se le fosse venuta meno l’aria.
Passando, visto il Merli che conversava con Mochi e con l’ingegner Villa:
— Lei fa bene a star sempre tra gli uomini seri, — gli disse ridendo.
— Pare che sia l’unico modo di farla ridere! — rispose Merli, facendole un piccolo inchino.
— Toh! Anche dello spirito?
Intanto aveva gli occhi sul dottore, che si era accorto della manovra di lei.
— Insomma, — domandò alla Maiocchi incontrata nel passaggio, — i tuoi sposini vivono proprio da romiti?
La signora Maiocchi si strinse nelle spalle:
— Che vuoi? Bisogna lasciarli fare.
Follini era andato incontro a Giacinta:
— Soffre?
— Chi soffre non ride.
Era un po’ stizzita. Come faceva quell’uomo per leggerle così bene nel cuore?
— Ah! lei dimentica che sono il suo medico — disse Follini con dolcezza.
— Ha ragione. Ma, Dio mio! che gliene preme? Perchè mi osserva a quella maniera?
— La studio.
— Mi fa soffrire; sì, mi fa soffrire. Sono in via d’ammalarmi. Sia buono; mi aiuti a morir presto.
— Non è precisamente il mio mestiere.
— A domani?
— A domani.
Giacinta sorrise.
— Come deve soffrire questa donna per sorridere così! — rifletteva il dottore.