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ni. — E continuava, con una leggiera intonazione declamatoria, fra il silenzio di tutti: — Forse abbiamo lì un caso di patologia morale non ordinario. Che ne pensa il dottore?

— Il dottore è sospetto.

— Perchè, signora Villa? — domandò il Follini che, entrato in quel punto, era rimasto in fondo al palco.

— È il medico di casa.

— Una ragione di più per conoscere più intimamente la contessa. Ma io, benchè la studi da un pezzo, non arrossisco di dichiarare che n’ho capito poco o nulla finora.

— Studii, studii, dottore! Intelligente com’è, finirà col capire. Le donne...

Risero tutti, interrompendolo.

— Quel Mochi! Sempre lo stesso!

— ... somigliano ai vulcani. Per comprenderne qualche cosa, bisogna fare come... come... insomma, come quel filosofo dell’antichità: buttarvisi dentro.

— Un’esperienza pericolosa.

— Il povero conte dev’essere imbecillito per questo.

— Lei stia zitto! — disse la signora Mochi a Ratti. — È sempre maligno.

— Se la malattia fosse ragionevole, poichè ci s’è messa, dovrebbe finire l’opera sua.

— Ratti! Ratti!

— In quanto a questo — entrò a dire il Follini — è probabile che al Gerace gli si debba allungare un po’ il collo, aspettando.

— Povera Giacinta!

La signora Villa, dopo che il dottor Follini si licenziò, non sapeva ancora persuadersi che in quell’affare di Giacinta colui non c’entrasse per nulla.