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Andrea mangiava in fretta senz’avvedersene, frugando nel cervello per trovarvi qualcosa da sviare quell’incubo; ma non trovava nulla! Il suo cervello era vuoto. E si mesceva spesso:

— Il vino, forse, gli avrebbe sciolto la lingua.

Scorgendo che Giacinta assaggiava le pietanze appena con la punta delle labbra, assorta chi sa da quali pensieri, sentì maggiormente aggravarsi addosso l’intero malessere che lo opprimeva:

— Un bell’anniversario, davvero? Ma la colpa è di lei che ingrandisce ogni nonnulla e si foggia continui spauracchi. Diamine!... Dopo quattro anni è naturale non si rinnovino gli entusiasmi d’una volta... L’abitudine ammortisce le impressioni più acute... Ma perchè non lo dico anche a lei? Perchè sto muto?

La pioggia ricominciava, a sbruffi, a rovesci rabbiosi, a seconda del vento.

— Tempo di levante — disse Andrea. — Ne avremo almeno per tre giorni.

Giacinta rizzò la testa:

— Finalmente!... Mi pareva che non avresti aperto più la bocca!

Andrea, col naso nel piatto, strappando con due dita un po’ di crosta da un panino, fra un boccone e l’altro continuava:

— Me lo sentivo da due giorni dentro le ossa. Un malumore, una fiacchezza!... L’umido, m’irrita i nervi. Sono un barometro.

Giacinta, per credergli e star tranquilla, avrebbe voluto potergli leggere in cuore, come in un libro. Non provocava una spiegazione perchè temeva di far peggio; e sentendolo parlare del cattivo tempo, dell’umido, dei nervi, senza che la voce di lui le rivelasse altro, assentiva col capo, intanto che pre-