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piegato un ginocchio, armeggiavi con le molle e facevi spegnere la fiamma...

— Sì, sì! — brontolò Andrea, stringendo la sigaretta fra le labbra, strizzando gli occhi.

— Te ne rammenti? Io ti dissi: stia fermo, fa peggio. E tu mi rispondesti: Dice bene. Destar fiamme non è il mio forte. Quel tuo accento turbato mi rimase nell’orecchio.

— Sì, sì!

Giacinta si rizzò sulla vita, sdegnosamente:

— Se ti annoi, se...

Ma frenossi, vedendo la Marietta che ritornava con un canestro pieno di posate, di bicchieri e di piatti.

Andrea, buttata la sigaretta nel fuoco, in piedi, si allungava, stirando in giù le braccia, aggrottando le sopracciglia:

— Aah!... Nulla impoltronisce come la fiamma del camino! Non mi muoverei di qui giorno e notte; mi lascerei rosolare, senza tirarmi indietro!

E tornava a stirarsi. Nel silenzio, si sentiva soltanto il rumore dei piatti e delle posate che Marietta andava disponendo sulla tavola.

— Se ti annoi, dillo pure! — insistè Giacinta, appena la cameriera uscì di nuovo. — Sei stato tutta la serata muto come un pesce, ruminando chi sa che cosa...

— Io?

— Sì. Tu cominci a diventarmi strano... Non posso più star zitta, soffro troppo!... T’annoi con me; confessalo!

— T’inganni, t’inganni!

Giacinta crollava tristamente il capo:

— No, non m’inganno. Ho notato, fra gli altri, un terribile indizio. Son donna, capisci?