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sigaretta, assestando diligentemente il tabacco, agguagliandolo, saggiandolo fra le dita prima d’avvolgere la carta: e Giacinta, lasciate cader le mani sulle ginocchia, lassamente, lo guardava fisso, con qualcosa sulla punta della lingua che non le riusciva di buttar fuori.
Marietta, che recava della biancheria da tavola, si era fermata sull’uscio.
— È andato a letto? — domandò Giacinta.
— Il signor conte si sta spogliando.
— Ha cenato?
— No, signora contessa.
— Perchè?
— Vuole che ne domandi a Battista?
— No. Prepara qui; sarà meglio, vero?
— Pare anche a me, — rispose Andrea, chinato per accendere a un tizzo la sigaretta.
Giacinta ripose nel cestino il suo lavoro e si alzò da sedere.
— La bambina?
— Dorme, signora contessa.
Mentre Marietta cominciava ad apparecchiare, ella avvicinavasi ad Andrea. Con le braccia sulla spalliera della poltrona, gli parlava all’orecchio:
— Dimenticone!... Oggi compionsi quattro anni; non vi hai neppure badato!... E sembra proprio ieri!
— Quattro anni! — replicò Andrea.
— Tu lo dici in un modo...
— Come vuoi che lo dica?
E col capo abbandonato, con le gambe accavalciate, seguitava a fumare.
Giacinta, un po’ commossa, riprendeva:
— Ti rammenti di quella sera presso il caminetto nel salotto della mamma? Io ero al tuo posto; e tu,