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— Povero babbo! La sola persona che non m’abbia mai fatto del male! — ella pensava, guardandogli le mani deformate, i piedi rigonfii, stirati sopra un monte di cuscini.

Povero babbo! — tornava ad esclamare internamente, vedendo la mamma che non si fermava mai più di qualche minuto in camera del malato, perchè, — assicurava, — non poteva reggere a tanto strazio!

Di là, i dottori attendevano, consultando spesso l’orologio, in compagnia di Andrea e del conte. Mentre questi, seccato, mettevasi a guardare le stampe in cornice appese alle pareti, Andrea batteva il tamburo con le dita sulla spalliera d’una sedia.

— È stato cinque anni in America, — disse il dottor Balbi al vecchio collega seduto accanto a lui.

— Medicina americana! — rispose l’altro.

E Andrea, vedendogli fare quella smorfia di disprezzo, pensò:

— Hanno paura che il nuovo arrivato non ammazzi la gente più alla spiccia di loro!

Il dottor Follini, preceduto dalla contessa, giunse all’ora precisa, e i due dottori, salutatolo, lo squadrarono da capo a piedi. Quel giovane, alto, snello e biondo, non prometteva nulla di serio. Ma il Balbi, con la sua aria di dottore che la sa lunga, non fu meno cortese per questo. E cominciò la relazione ab ovo, parlando lentamente, riposatamente, con pause soffiate di naso, e citazioni latine. Il dottor Costa, rovesciata indietro la testa di bulldog, con la bocca e gli occhi socchiusi, pareva mezzo addormentato dalla monotona voce del collega. Il dottor Follini ascoltava attentamente, con deferenza. E di tratto in tratto, i guaiti del signor Paolo arrivavano, strazianti, a interrompere l’intercalare: veda,