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stra, dov’egli se ne stava col Gessi ad osservare le finestre del palazzo Sturini, che si oscuravano ad una ad una.
— Sono morti tutti, di noia! — ripeteva Andrea ridendo. — I carrozzoni dei trasporti funebri già li portano via.
— So che preferisce il caffè, — gli disse Giacinta.
Gessi si allontanava prudentemente, diventando un po’ rosso.
— M’ingannavo? Vedi, si sono stancati! — soggiunse Giacinta.
E si affrettò a raggiungere il Gessi:
— Vuol thè o caffè?
— Grazie, preferisco queste, — egli rispose, stendendo la mano alle chicche del vassojo che Elisa Majocchi gli presentava in quel punto.
— Ah! vi servite tra voi altri! Sta bene — replicò Giacinta con malizia.
Gessi diventò più rosso di prima. Elisa, magrissima, diritta come se avesse inghiottito il manico della granata, lo guardava con civetteria e gli domandava, per imbarazzarlo:
— Perchè diventa così rosso?
XVIII.
Per due giorni, Giacinta tenne il broncio alla delicata creaturina che vagiva a piè del suo letto. Quella bambina le aveva bruscamente distrutti tutti i bei castelli in aria fabbricati con tanta delizia, da più di otto mesi.
Si aspettava così sicuramente un bimbo, che non