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le braccia aperte, cacciando un flebile urlo, senza parola.
Alla strappata di campanello di Giacinta, Marietta entrò in camera.
— Accompagnate il conte. Buona notte! — indi aggiunse, rivolta a lui, sorreggendosi con la destra alla spalliera del letto.
— Buona notte! — rispose il conte, che non si decideva ad andarsene.
E così era stato rotto anche quell’esilissimo filo che tuttavia legavala a lui.
XVII.
Giacinta voleva partorire nella casa nuova; ma la vera ragione della sua fretta era stata l’idea che lì si sarebbe trovata libera da ogni soggezione importuna. In casa propria regnava lei: vi avrebbe ricevuto chi le pareva e piaceva; non doveva rendere conto a nessuno.
La inaugurazione del suo salotto fu un affare grosso.
La baronessa Sturini, che stava a capo dell’aristocrazia e non se l’era mai detta con le Marulli, aveva cercato, per ripicco, d’alzarle quella stessa sera un contr’altare. Allora la signora Teresa, smesso quel po’ di broncio che teneva tuttavia alla figlia, ci s’era immischiata un po’ lei, aiutandosi, come diceva il Mochi, con le mani e coi piedi. In quei giorni, era raro che due persone s’incontrassero senza domandarsi:
— Hai ricevuto un invito della Sturini?
— Sì, e uno della contessa Grippa; ma vado da questa. E tu?