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addietro, quando ogni sua speranza, ogni sua illusione s’era inabissata, e l’orrore dell’avvenire le aveva annebbiato la ragione. Però, si sentiva più agguerrita e più forte.

Se non che ora, di tanto in tanto, la sincerità del suo carattere si ribellava, sordamente, contro l’equivoca situazione dov’ella s’era cacciata. La piena rassegnazione di suo marito le destava un senso di pietà. E se egli la guardava coll’aria di un cane rivolto umilmente verso il padrone che lo caccia via, Giacinta provava un soffocamento, come se ingoiasse, in quel punto, un sorso d’acqua fangosa.

— Oh!... Se fosse stato meno arrendevole, anche cattivo, sarebbe stata più tranquilla.

Ma una sera il conte era tornato a casa con la faccia insolitamente rannuvolata. Presa da viva curiosità, Giacinta se lo lasciò venire dietro nella camera da letto, senza licenziarsi o dirgli nulla. Mentre egli passeggiava da un angolo all’altro, con le mani dietro la schiena, Giacinta pareva intentissima a rovistare i cassetti di un piccolo armadio; ma con la coda dell’occhio, gli vedeva torcere la bocca e alzar le mani per stropicciarsi le gote, con l’abituale gesto di gatto che si lavi la faccia.

— Contessa! — finalmente egli disse.

Giacinta, senza nemmeno voltarsi, seguitò a rovistare. Quella intonazione un po’ brusca l’aveva scossa: attendeva.

Il conte riprese a passeggiare, brontolando in modo inintelligibile:

— Che gli davano a intendere gli amici burloni? Lo scherzo passava il segno... Sua moglie era così serena!... Se fosse stato vero... Gliel’avrebbe letto in fronte, a prima vista.

E si fermava per ammirare quella testina di don-