Pagina:Capuana - Giacinta.djvu/161


— 159 —


Gli erano apparsi improvvisamente sotto la viva luce d’un fanale; e i cappellini bianchi delle Maiocchi, con nastri e fiori rossi, gli avevano fatto l’impressione di un piccolo urto nelle pupille. La faccia violacea, e con la barba nera, di quell’omaccione dell’ingegnere si vedeva ancora illuminata, quando le signore, già immerse nell’ombra, apparivano tre figure grigie, un po’ confuse.

Andrea fece un gran saluto, fermandosi, tenendo in alto il cappello e inchinando la testa; ma la signora Villa e le Maiocchi, trovatesi faccia a faccia con lui, si voltarono in là, affettando di guardare le finestre del palazzo vicino: e l’ingegnere gli rispose con una specie di smorfiettina, sbadatamente.

— Non era più un’illusione!...Si trattava proprio d’una congiura... Lo sfuggivano, gli facevano il vuoto attorno!... Vigliacchi!

— Non curartene. È un lavoro della mamma e del Mochi — gli diceva il giorno dopo Giacinta. — Rappresaglia di invidiosi e di sciocchi. Si stancheranno... E poi, che te n’importa? Non ti basta dunque l’amor mio?

— Sì, sì!... Ma, infine, non sono di bronzo; e se mi mettono con le spalle al muro!

Giacinta lo accarezzava, sorridendogli dolcemente, bella anche nel pallore della convalescenza, e con gli occhi lo pregava di calmarsi.

XVI.

Ella sentiva d’amarlo immensamente più, ora che le costava il sagrifizio della sua reputazione e della sua pace. Quella lotta l’aizzava, come l’anno