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la brutta prosa della realtà, che, spietatamente, da un momento all’altro, poteva venir a soffocare la spensierata dolce poesia del loro amore. Rimuginava, rinunziava; e quel romanzo del Montèpin, parsogli pochi giorni addietro interessantissimo, ora non riusciva nemmeno a distrarlo un momento.

— Che stupidaggine! Che assurdità!

E, buttato via il volume, accigliato, riprendeva a passeggiare, fumando, su e giù per la stanza, vuotandosi il cervello.

— Che gli si tramava dietro le spalle? Un pericolo conosciuto non gli avrebbe fatto paura... Un duello? Oh, avrebbe servito quei signori in qualunque maniera, con la sciabola, con la spada, con la pistola!... Ma quelle carogne non si battevano... Ed eccolo lì, solo solo, contro una donna che non voleva badar a nulla, se risoluta a colpire; in una piccola città, dove tutti, o quasi tutti, erano amici e parenti!... Intanto, egli conchiudeva col rimanersene in casa, col non farsi più vedere al Caffè della Pantera e non avvicinare nessuno.

Le buone notizie della salute di Giacinta lo spinsero fuori. Aspettò che fosse sera, e scese le scale lentamente, esitando; poi, si mise a camminare in fretta, tra la folla domenicale che invadeva il Corso un po’ buio per le botteghe tutte chiuse.

I Porati, padre e figlio, erano sull’uscio del Caffè della Pantera, fermati a discorrere, osservando la gente che passava; ma, tutt’a un tratto, si misero a parlare accaloratamente, faccia a faccia come per evitare di salutarlo. Infatti non risposero al saluto di lui.

— Può essere un caso... Anche a me, qualche volta è accaduto di non scorgere un amico che mi passava accanto...