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Giacinta quasi non si rammentava più che quell’uomo avesse già acquistato dei diritti su lei.
— È assurdo! Come non l’ho preveduto?...
Il suo corpo, la sua coscienza si rivoltavano all’orrore di quell’adulterio.
— Non è possibile! Non può essere; non deve essere!
No, non voleva appartenere a due. S’era data al suo Andrea, per sempre; non poteva darsi a un altro.
— No! No!... Divento pazza!
E lasciando di vestirsi, tuffava ad ogni momentino le mani nell’acqua per rinfrescarsi la faccia.
VI.
Entrando nel salotto dove il conte Giulio e il signor Paolo stavano ad aspettarla, Giacinta ebbe quasi a venir meno.
— Come sei pallida! — le disse il signor Paolo.
— Oh, passerà! Un po’ di nervi... Ne avrò forse per una settimana. Passerà.
— Appunto il giorno delle nozze!
Il conte non sapeva consolarsene.
Mentre Giacinta, seduta accanto al suo babbo e tenendolo per una mano, guardava attraverso i cristalli il cielo bianchiccio, da nevischio, che gittava una luce fredda sulla tappezzeria grigia della stanza, il signor Marulli si suonava il tamburo sulla pancia colle dita dell’altra mano.
— Che stagione! Vuol nevicare. Ed ieri avemmo quasi caldo!