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rato a festa, biancheggiava tra il pallido color di rosa della tappezzeria e le tende azzurre del sopraccielo.

V.

— Dorme, — disse Marietta affacciandosi all’uscio.

La signora Teresa, suo marito e il conte Giulio si guardarono in faccia per consultarsi. A un tratto la Marulli tese l’orecchio.

— Mi è parso...

E in punta di piedi entrava nella camera, seguita dagli altri due.

Ci si vedeva poco. L’abito bianco di garza, buttato negligentemente sulla seggiola a piè del letto, era mezzo scivolato per terra; accanto, le fibbiettine di acciaio delle scarpine di raso luccicavano, in mezzo ai fiocchi di nastro, come occhi di gatto. Supina, con un braccio ignudo fino al gomito fuor della coperta, la testa un po’ di fianco e le trecce nere disciolte sul bianco del guanciale, Giacinta dormiva ancora, respirando lievemente.

— Ha dovuto passare una cattiva nottata — disse il conte sotto voce.

E nell’accostarsi al letto urtò e rovesciò una seggiola.

— Che paura!

Giacinta a quel rumore, s’era improvvisamente destata.

— Scusate!... Scusate! — balbettò il conte.

— Abbiamo aspettato finora — soggiunse la signora Teresa.