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Picchiarono all’uscio.
Giacinta, portato rapidamente l’indice alle labbra, pallida, intentissima, aggrottava gli occhi verso quella parte. Andrea, più pallido di lei, la guardava fisso, rimescolato.
Picchiarono di nuovo, discretamente.
— Contessa!... Giacinta!
Il conte chiamava sotto voce, tossicchiando, dando colle nocchie delle dita, ad intervalli, contro l’uscio dei colpettini che la pelle del guanto smorzava:
— Contessa!
— Ah?... Voleva una risposta?
E Giacinta si strinse al petto la testa d’Andrea, ricercando avidamente con le labbra quei capelli morbidi come la seta, aspirandone deliziosamente il sottile profumo.
Appena s’intese sul tappeto lo scricchiolio dei passi del conte che se n’andava, Giacinta ed Andrea si levarono in piedi. Sorridevano, ma impacciati, ma con dei brividi per tutto il corpo, come se un soffio diaccio li avesse colti; e non riuscivano a rimettersi nello stato di prima.
Andrea chinossi per raccogliere il mazzolino di fiori d’arancio staccatosi dalla testa di lei; Giacinta lo buttò via. E siccome egli faceva atto di voler tornare a raccattarlo, gli riafferrò le mani e lo attirò verso di sè.
Con la testa rovesciata indietro, abbandonatamente, con gli occhi socchiusi, pareva rapita dalla violenza del galoppo lanciato in quel punto dall’orchestra e smorzato dalla distanza con soavità voluttuosa. E l’ombra dei loro corpi abbracciati in mezzo alla camera si allungava tremolante, contro il lume, sul candore del letto nuziale che, come un altare pa-