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E vedendo Andrea ancora esitante:

— Mi credi ammattita? — gli disse.

Andrea arrossì. Non osava di confessarle il vago terrore da cui sentivasi oppresso, quantunque le stringesse, per assicurarla, le mani; e tendeva l’orecchio al rantolo minaccioso di quel maledetto strumento.

— Dimmi che mi ami!... Dimmi che mi ami ancora! — gli ripeteva Giacinta.

— Potreste dubitarne?

— Dimmi che mi amerai sempre, sempre.

— Ma...

— Prendi!

Giacinta, toltosi dal dito l’anello nuziale, cercava d’infilarlo al dito di lui. Andrea resisteva, col pugno serrato:

— No, no, non lo voglio...

Ma quella gli aveva già aperta per forza la mano.

— Prendi...! Le mie vere nozze sono queste qui! Sarà per sempre, è vero?... Per tutta la vita?

E con voce tremante di tenerezza, continuava:

— Intendi ora?... Intendi?... Non potevo, non volevo doverti nulla... Volevo trovarmi da pari a pari con te!... Era la mia idea fissa, il chiodo piantato nel mio cuore!... Ah, che lotte mi costi!... Ti ho conquistato a prezzo di lagrime... Perderti era un sacrifizio assai superiore alle mie forze... Mi costavi troppo! Intendi ora?... Le mie vere nozze son queste qui!

— Ho dubitato!... Perdonami! — disse Andrea, gettandosele ai piedi e nascondendo il viso in grembo a lei. — Non è un sogno tutto questo?

Era commosso, esaltato. Rimaneva lì, ginocchioni; e voleva sentire, assolutamente, quella parola: perdono!