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In quel punto, dietro un rapidissimo ragionamento quasi incosciente, mentre gli altri parlavano, Andrea pensava ch’era proprio una stupidaggine il far scoprire a Giacinta quant’egli soffrisse pel tradimento di lei. Ma che poteva farci?... Non sapeva fingere. L’amava, s’era illuso... e soffriva! Non aveva mai sospettato che si dovesse soffrire tanto per un’illusione perduta!

— Povera Giacinta! — disse il Porati. — Quelle trecento mila lire le hanno scaldato il cervello.

— Contessa Grippa di San Celso, — rispose il Ricevitore, lisciandosi la barba — non suona mica male... Scacco matto!

Il Villa rovesciò i pochi pezzi rimasti ritti sulla scacchiera, e se la prese col Ratti che lo aveva fatto distrarre:

— Infine, tutti voialtri sparlate per dispetto; la solita storia della volpe e dell’uva!

Rossi, Porati e Ratti, ridendo di quella stizza di giocatore sfortunato, si erano alzati per andar via.

— Voi restate, Gerace? — domandò il Ratti.

Andrea si lasciava trascinare. Aveva giurato di volersi rompere l’osso del collo prima di rimettere un piede in casa Marulli; e intanto provava un sentimento di gratitudine verso il Ratti che lo portava via, a braccetto, spingendolo su per quelle scale senza che la sua volontà quasi c’entrasse. Gli pareva anche strano che non si sentisse piegare i ginocchi, nè battere forte il cuore.

Giacinta, al vederlo entrare in salotto, aveva provato un’impressione come di fiamma sul viso.

Andrea le strinse la mano e si fermò un po’ a discorrere col Merli e col Gessi che, appartati con lei in un angolo, scoppiavano a ridere di tanto in tanto.