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— Quando lo assicura il cavaliere...!

Ratti ammiccava maliziosamente al Porati, aggiungendo:

— Il cavaliere è troppo addentro nei segreti della mamma e, dicono le cattive lingue, della figliuola!

Mochi protestò, levandosi in piedi, abbottonandosi il soprabito con piglio sdegnoso, quantunque avesse a fior di labbra, sotto i baffi un sorrisino stentato che si mostrava a dispetto di lui.

— No, no!... Certe cose non si dicono neppure per chiasso! So a quali sciocche dicerie volete alludere, ma il ripeterle vi fa torto. Povera ragazza! La Giacinta commette, forse, una pazzia sposando quell’imbecille; ma non è una buona ragione per darle addosso... Io, per esempio, non presto fede neanche a certe vecchie ciarle... Dico sul serio, caro avvocato. E non posso permettere che, alla mia presenza... Scusate... No! no!

Ratti chinava il capo:

— Oh, io rispetto troppo la discrezione di un gentiluomo!...

— Qui non si tratta di discrezione — e Mochi lasciava sdegnosamente cascar l’occhialino. — Riflettete che, alla mia età, coteste storielle non si smentiscono volentieri; si lasciano correre. Ma io non sono un vanesio... Sarebbe un’indegnità, addirittura!

— Si direbbe ch’abbia voluto provar troppo a posta — disse Ratti, mentre il Mochi spariva dietro la bussola a cristalli, nella penombra della piazza.

E ghignava, guardando gli altri che restavano muti.

— E voi Andrea, che ne pensate?

— Io?... Nulla.