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l’«omo selvaggio» 305


Caterina dalla tristezza delle giornate attorno al letto della malatina, dal sonno perduto, dal gran dolore per la morte della creatura che già formava il suo grande orgoglio, «era ridotta uno straccio», come si espresse la zia. Perciò Pietro acconsentì volentieri che la zia la conducesse con sè per farla svagare e ristorarla laggiù, nel paese nativo.

In quei tre mesi — c’era stato anche il pretesto della festa di San Cipriano — egli era andato parecchie volte a trovarla per alcune mezze giornate, lasciando affidato il negozio a due garzoni dovuti prender per servir più lestamente gli avventori.

Ma una mattina egli era su la soglia della bottega, con le mani dietro la schiena, assistendo a la rissa di due cani che si assalivano a morsi, ringhiando, e pensava anche che tra due giorni sua moglie sarebbe tornata. Gli si avvicinò il farmacista di faccia: lo guardava con curiosità, quasi con stupore.

— Bravo! — gli disse. — Così si fa! Siete davvero un uomo!

— Perchè? Scusate.

— È inutile fingere con me. L’ho saputo ieri sera da uno di quel paese....

— Che avete saputo?