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230 | luigi capuana |
il parlarne agli amici che vennero a trovarlo all’albergo quantunque provasse nell’animo l’incitamento continuo di dire:
— Sentite che sciocchezza ho sognato!
La notte appresso, però, riecco l’amico Natale. La sua persona emanava una sottile fosforescenza che la faceva distinguere benissimo nel buio fitto della camera.
— Mi fai soffrire! Perchè non sei andato dal Pretore?
— Scusa, mi è parso...
— Come siete vanitosi e ignoranti voi vivi! Andrai? Giurami che andrai! Dammi la mano.
— Te lo giuro!
La sensazione del ghiaccio di quella mano lo fece destare tutt’a un tratto.
— Ma dunque non era sogno? Possibile?
E la mattina dopo andò dal Pretore, giovanotto quasi imberbe che faceva le sue prime prove giudiziarie, da incaricato.
Si era fatto presentare da uno dei suoi amici, il quale aveva voluto, prima, esser rassicurato che non si trattava di denunziare il sospetto di avvelenamento.
— No; si tratta di un sogno.