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l'ideale 203


— Quale? — gli domandava Filiberto Rocchi suo amico d’infanzia, che andava spesso a trovarlo, o a scovarlo, come soleva dir lui, in quel silenzioso terzo piano elegante e severo, quale si conveniva a filosofo giovane, ma proprietario, cosa che ai filosofi accadeva di rado.

— Quale? — ripeteva Alberto Coscia — Quasi io lo sapessi! Studio, cerco: qualcosa di assolutamente diverso dalla stupida vita attuale.

— La chiami stupida perchè l’hai appena assaggiata, da studente. Poi, quel can barbone del tuo professore di filosofia ti ha guastato la testa; e si può dire che ti sei chiuso in quest’eremo.... Ah! Te lo invidio! Me ne farei uno studio principesco, e forse non dipingerei più anitre ed oche, ma animali più nobili, se ce ne sono... Ti sei chiuso in quest’eremo a ringrullirti dietro l’Ideale! L’Ideale, caro mio, è la realtà che si tocca e si mangia e si beve; è la piena sodisfazione dei sensi tutti, con le grandi impressioni dello spettacolo della Natura, della musica, delle altre arti, comprese le mie anitre e le mie oche, che tu avresti dovuto comprare per avere qui, nel tuo studio, una sensazione di colore passata a traverso il cervello di un tuo amico. L’Ideale è la donna amata e posse-