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i soliloqui di bicci 147

terzo gode. — Hai delle pretese? — dico io. — Fatti avanti! — Tu devi lasciarmi libero il posto! — Io non lascio libero niente: chi è più forte vince! — Se si trattasse di farla a pugni, il più forte sarebbe lui, che è un omaccione; ma ha un cuore di coniglio... È impertinente però; mi mette con le spalle al muro: devo dargli una lezione. Vedete? Un galantuomo si trova così nel rischio di ammazzare o di farsi ammazzare! Giacchè io non posso ingollarmi in santa pace le provocazioni di Marco Tanzi. E voglio dargli la prova che, se mi ci metto seriamente, riesco meglio di qualche altro, di lui sopratutti. Se la sente? E vada a presentarsi al signor Viola: — Vi chiedo la mano di vostra figlia! — Gli riderà in viso il signor Viola. Ma già, prima dovrebbe presentarsi alla signorina Ernesta. È inutile far la richiesta al babbo, se non si ha la certezza anticipata del consenso della figlia.

È il mio piano. Non già che io sia innamorato della signorina. Mi piace; è carina; dicono anche che sia istruita; via, si sa, istruzione da donne! Ha frequentato le stesse scuole che ho frequentato io. Sono istruito io? Tanzi, forse, ne sa più di me? Ingegno naturale si richiede; ma è un’altra questione. Carina, dunque, è innegabile. L’amore...