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sigliò di rivolgersi alle autorità di Londra per avere notizie della Flower, Efisio Ronchi rispose:

— No! Se è viva, tornerà a scrivere; ho questa certezza. Se è morta....

E non finì la frase. Spalancò le braccia con gesto di rassegnato, e sorrise tristemente. Le labbra gli tremavano come il cuore; e negli occhi gli si accentuò quella luce da febbricitante, quasi da folle, ch’egli non si curava più di nascondere; tanto egli viveva ancora accanto al fantasma del suo divino Sogno vivente!

Ronchi spesso passava ore ed ore in beata contemplazione di quel gesso, che prendeva nella sua fantasia il roseo colorito di miss Anna, l’oro dei capelli, il limpido azzurro degli occhi, anche la voce e l’accento di lei, che più non si faceva viva.

Era morta, dunque? Sarebbe ricomparsa improvvisamente, com’egli sperava ancora? Ma, ormai, a lui bastava di averla immortalata in quella forma.

Viveva sotto il fascino d’un sentimento divenuto quasi morboso. Talvolta provava un senso di rilassatezza, di fiacchezza spirituale, una specie di evaporazione non sapeva di che cosa; di lì a poco però il fascino riprendeva vigore, nonostante ch’egli, più invecchiato, più avvilito, fosse costretto a darsi al suo solito lavoro, se non voleva ridursi a morir di fame.

Un famoso antiquario, visto il ritratto di miss Flower, era rimasto sbalordito.

— Ci sarebbe da fare un mucchio di quattrini! — esclamò — Col trucco di farlo scavare in qualche località della Terra di Lavoro, della Capitanata.... Il guaio è che è stato visto da qualcuno. Pure si potrebbe tentare...

— Non lo vedrà più nessuno!... Mai!

Ronchi si era atteggiato come chi voglia difendere una persona cara, anche a costo della vita.