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Miss Flower faceva davvero onore al suo cognome. Alta, bionda, con occhi azzurri, limpidissimi, carnagione bianca, freschissima, voce di rara dolcezza, accento che dava particolare incanto all’italiano da lei parlato, non lasciava supporre che avesse già varcato la trentina, avviata verso quell’età in cui la donna sembra di arrestarsi per qualche tempo, quasi sgomenta di andar oltre.
Il giorno che Efisio Ronchi la vide entrare nel suo studio, accompagnata dalla signora Pinotti, moglie del commendatore paesano e vecchio amico di lui, ebbe la sensazione che la signora gli avesse condotto colà qualcosa di irreale, un sogno vivente, com’egli si espresse col suo immaginoso linguaggio di artista.
— Bisogna proprio venire a scovarvi qui! — disse la Pinotti. — Vi siete fatto prezioso.
Ronchi, con le mani intrise di creta, tentava di sbarazzare la seggiola e la poltrona vicine e ingombre di carte, di oggetti diversi, per offrir da sedere alle due insolite visitatrici.
— Lasciate stare. Permettetemi di presentarvi a questa mia gentile amica, vostra ammiratrice.
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