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nocchio invocando il perdono di Dio e dell’innocente creaturina.
Era ingiusta. Non doveva risentire solo colei il peso dell’infamia altrui, nè scontarne la pena!
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Poco dopo, la bambina s’era ammalata gravemente. Teresa avea voluto restare notte e giorno al capezzale della inferma. Preghiere non erano valse, nè minacce del marito per indurla a rimuoversi di là.
Il rimorso le lacerava il cuore. Ella rammentava con spavento la vile menzogna:
— È per la bambina.... Ho il cuore grosso.... Non so!....
E il ricordo di queste parole le si mutava in terribile rimprovero, quasi avesse buttata così una cattiva sorte addosso alla figliuolina, che ora smaniava nel letto riarsa dalla febbre, tra la vita e la morte.
— Oh, lei stessa la uccideva! La bambina avrebbe espiato, vittima pura, l’infame delitto di quell’uomo!...
E credendo di assistere all’agonia della creatura che era stata la sua gioia, il suo orgoglio di madre immacolata e felice, si sentiva intanto sussultar nel seno quell’altra con festoso anelare alla luce, con vivo senso d’allegrezza pel vicino sprigionamento. E presso il capezzale dove le pareva che l’alito freddo della morte gelasse il sudore sul viso sfigurito della sofferente, ecco il fantasma di colui — dello scomparso — che le si ripresentava dinanzi con umile aria di preghiera: — Ti amavo, da due anni. Per questo m’ero allontanato da casa tua! — Perchè se lo sentiva così pertinace nell’orecchio? Perchè il di lei pensiero vi si fissava dispettosamente, con una specie di sdegnosa compiacenza? E quando, Signore! quando? Ora che