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— Lui!... Lui!... Il fratello di mio marito!

Barcollava, come allora ch’era andata tentoni per la stanze buie fino alla camera da letto; e, come allora, i singhiozzi e il pianto tornavano a farle nodo alla gola:

— Lui!... Lui!... Il fratello di mio marito!

La mattina, quando s’era trovata ancora piangente, accoccolata come una mendicante sul pavimento, con la testa appoggiata alla sponda del letto, le mani avviticchiate attorno ai ginocchi; al barlume dell’alba, penetrato nella camera dai vetri rimasti aperti, la prima sensazione che le aveva dato la coscienza di se stessa, era stata un invincibile ribrezzo dei vestiti che aveva indosso; poi una pazza paura che non le si fossero appiccicati alle carni per perpetuare la sua onta. Rapidamente s’era spogliata, strappando i bottoni, i ganci, ogni cosa che faceva intoppo; e rivestitasi in fretta, aveva spinto coi piedi fuori della stanza quel mucchio di roba e di biancheria, quasi fosse stato un sudiciume da potere appestar l’aria.

Era rimasta tutta la giornata chiusa in camera scusandosi con un’emicrania, senza voler vedere nessuno, neppure la sua bambina venuta a picchiar all’uscio colle manine, chiamando: — Mamma! Mamma! — Ed era rimasta lì; buttata sul letto, col volto affondato nei guanciali, al buio, smaniante di urlare forte, forte, forte, perchè il marito lontano la sentisse, turandosi nello stesso tempo con le mani la bocca, per impedire che qualche grido non le sfuggisse mentre si sentiva soffocare.

E quando suo marito sarebbe tornato?

Oh, non ci voleva pensare!