Pagina:Capuana - Come l'onda.djvu/38

34

datamente per la spianata coperta di erbe selvatiche e di stelline gialle e bianche tremolanti sui loro lunghissimi steli, poi si fermò davanti una statuetta greca, che giaceva ancora nel posto dove era stata scavata.

— Ha letto, — mi domandò con tranquillo tono di voce — la iscrizione che orna i lembi del pallio di questa dea?

Seguivo con occhio turbato i movimenti di lei. Avevo sùbito compreso il significato della brusca interruzione, e della simulata indifferenza, e mi sentivo venir meno la forza di fingere di non aver capito.

Senza un ultimo fievolissimo rimprovero della coscienza, mi sarei precipitato a buttarmele ai piedi per baciarle furiosamente le mani e dirle le cose insensate che già mi gorgogliavano in gola.

Quella domanda mi calmò.

— L’iscrizione è monca, — risposi. — Dice: A Hera, la sacerdotessa, (il nome è illegibile) nella festa di marzo.

— Povera dea! — esclamò, quasi non sapesse che dire.

A me intanto parve avesse voluto sottintendere:

— Povera Jela!

E mi sentii stringere il cuore.

Nella nottata presi un’energica risoluzione. Se per poco cedevo a quella tempesta di sensi scoppiatami così improvvisamente nel petto, insieme col culto ideale di Jela, sarebbero naufragate e la mia dignità di uomo, e la mia lealtà di amico. Decisi di fuggire all’insaputa di Emilia, perchè ero certo che in sua presenza non avrei più posto in atto quell’urgentissima risoluzione.