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ora al levar del sole, ora sotto il calore meridiano per formarci un’idea approssimativa del vero deserto, ora al lume di luna.
I raggi lunari, rischiarando con luce bianchiccia quella vasta e brulla estensione di sabbia, davano risalto con le ombre a tutte le disuguaglianze del terreno; e il luogo assumeva così un aspetto strano e pauroso, che di giorno nessuno avrebbe immaginato. Le onde del mare, battendo svogliatamente sulla spiaggia poco discosta, facevano un perfetto contrasto col silenzio che incombeva dall’altro lato su la solitudine desolata.
Pareva di essere chi sa a quante miglia da ogni creatura vivente, sperduti e senza speranza di soccorso, in mezzo a un oceano di sabbia. La configurazione del terreno, celandone i limiti, contribuiva a far credere immensa quell’estensione di poche miglia.
Di tanto in tanto la mia compagna lanciava per l’aria cheta un allegro scoppio di risa, che suonava più argentino del solito e vi si perdeva senz’eco.
Io, quando non ragionavamo, canterellavo. Ella intanto, facendo il giro dei pantani, gettava manate di sabbia fra i giunchi dattorno per far levare le anitre, le folaghe, i gheppi lì rimpiattati.
In verità, non mi divertivo molto.
Nei giorni precedenti mi ero più volte sorpreso a guardarla intensissimamente con sentimento di dolce compiacenza e che non scaturiva soltanto dalla sua somiglianza con Jela.
Ed ora, in quel posto, tornando silenziosi verso casa, avvertivo con stizza che il calore del suo braccio, appoggiato con stanchezza sul mio, mi faceva pensare a qualcosa di vagamente sensuale che s’infiltrava nella pura atmosfera del mio spirito e cominciava ad attirarlo.