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fisso, col muso in aria, quasi aspettasse anch’esso qualche regalo mangereccio.
— A che pensa? — domandò la signora, vedendomi così assorto.
— Penso, — risposi, — ch’è bene ci siano al mondo felicità che non si possono mai possedere!
— Una felicità non posseduta è piuttosto un dolore.
— Per possedere certe felicità e possederle per sempre (aggravai la voce sul certe e sul sempre), l’unico mezzo, cara signora, è non possederle mai.
— Una donna, — ella rispose, — non parlerebbe a questo modo.
— Perchè?
— Perchè noi siamo molto più pratiche degli uomini.
— Questo mi stupisce, dopo averla sentita parlare dei mille romanzi che ha letti.
Mi tornò alla memoria quel po’ della sua vita, che ella mi aveva confidato la sera avanti. Sentivo susurrarmi all’orecchio: «Ho sofferto, ho lottato!»
E poi, in tono più severo, quasi ultimo resultato di tristissima esperienza: «Solo il possesso rende felici; tutto il resto è illusione».
Io però protestavo internamente:
— No, non è illusione.
⁂
Si accorse presto del mio turbamento, e mi sorrideva in faccia con aria maliziosa, non osando apertamente canzonarmi. Richiamava spesso il discorso sul mio ideale, com’ella diceva, e m’interrogava con curiosità, quasi provasse gusto nel delicato tormento che m’infliggeva.
— Era più bassa, più gracile di me?... — mi