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Rimasi tutta la giornata mezzo stordito. Non sapevo capacitarmi come mai i lineamenti della mia Jela si fossero quasi ripetuti in un’altra persona.
Jela! Il dolce sogno della mia giovinezza! L’unica donna che io abbia sempre amata anche amandone altre.
Jela! Jela!... Oh! Dopo tant’anni, non posso tuttavia pronunziar questo nome senza tremare dalla commozione. La immagine di lei non solamente ha resistito nel mio cuore a tutte le offese del tempo e dei mille casi della vita, ma ogni mese, quasi a giorno fisso, torna a stringermi affettuosamente tra le sue braccia ideali, con raccoglimento più che religioso, con dolcissima estasi, per parecchie ore, durante le quali l’idillio della mia giovinezza ricanta lietamente le sue gentili canzoni.
— Fanciullaggini! Ridicolezze! — mi sono spesso ripetuto. Può darsi; ma fanciullaggini divine! Da chi ho mai ricevuto consolazioni più profonde? Da chi conforti più ineffabili?
Purificata, idealizzata da lungo e segreto lavorio, pel quale il mio carattere, le circostanze della vita e l’indole dei miei studi si porsero a vicenda la mano, la malinconica figura di Jela assunse presto pel mio cuore e pel mio spirito valore di simbolo. Pavento anch’oggi come una sciagura il momento in cui potrò forse dimenticarla, o rimanere indifferente. Ed ecco perchè il vederla riprodotta vivente nella persona della signora Emilia mi turbava.
Il gentile e sacro ideale della mia vita avrebbe patito per quest’incontro qualche mutilazione? Mi metteva i brividi il solo pensarvi.