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Me lo domandavo la mattina dopo sulla terrazza del villino di Conca di Pietra, aspettando che la signora Emilia uscisse di camera per far colazione lì, in faccia al mare.
E quando comparve, non seppi frenare un gesto di sorpresa. Ella era trasfigurata!
Indossava un abito d’indiana azzurra e bianca guarnita di trine nere, che davano risalto alla foggia. Il busto le abbracciava stretta la vita e la faceva parere più snella. I capelli, semplicemente tirati su e trattenuti da un nastro di velluto celeste, luccicavano di ondeggianti riflessi violacei attorno alla fronte.
Mi porse la mano domandandomi scusa di essersi fatta aspettare; poi diede una rapida occhiata al mare brulicante di scintillii sotto la vampa del sole già alto, un’altra occhiata alla campagna che scendeva a sinistra, verde di messi quasi fino alla spiaggia, e alzando le sopracciglia e aprendo gli occhi con viva espressione di piacere, esclamò:
— Che magnificenza!
In quel momento mi sentivo interdetto; respiravo appena. La rassomiglianza, così ostinatamente cercata e non potuta trovare, mi era all’improvviso saltata agli occhi, dandomi una fortissima scossa.
Stupido! Come non me n’ero accorto sùbito?
Come avevo potuto aspettare fino a quel momento per riconoscere ciò che avevo confusamente avvertito appena vedutala?
— Perchè mi guarda così?... — domandò quasi mortificata.
— Scusi — mi affrettai a dire. — È proprio un caso incredibile!