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all’idea di poter essere costretto ad interrompere quel lavoro che gli vibrava dentro, ed era quasi il ritmo di una nuova sua giovinezza.

E per due giorni parve di scordare il profondo cambiamento che apportava nella sua vita quell’eredità di quasi mezzo milione lasciatagli da un ignorato parente materno, ch’egli non conosceva, vissuto sempre in un paesetto dell’Abruzzo, sperduto tra i monti e tra i boschi.

Aveva ripreso sùbito a lavorare, con nuova lena, con ansia, continuando a riempire fogli dietro fogli, senza mai rileggere, dopo un’interruzione, quel che aveva scritto; perchè anche durante il breve sonno e i brevissimi riposi, non cessava nel suo cervello il fecondo lavorio dell’immaginazione, con un lieve stato di quasi inconsapevolezza, che era, invece, latente operosità, la quale poi si trasformava in una specie di improvvisazione.

Dopo due giorni però.... come se qualcuno, di tratto in tratto gli arrestasse la mano; come se la Chimera, che prima gli volitava attorno, si dileguasse improvvisamente, inaridì quella ricchezza di sentimento, quegli splendori di immaginazione che formavano, da settimane, la intensa gioia di lui!

L’eredità! L’eredità!

Non avrebbe voluto occuparsene prima che non avesse scritto l’ultimo verso, l’ultima parola di quel poema lirico appena arrivato a metà; ed ecco che il pensiero di essa veniva a distrarlo, a insinuargli preoccupazioni delle quali non si era mai creduto capace.