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Quando l’alba colorò dei suoi miti splendori lo spazio di cielo inquadrato dallo sportello della carrozza, ritrassi le gambe, e mi rizzai su la vita:

— Eccoci a un terzo di strada — esclamai, dopo aver dato un’occhiata al posto che traversavamo in quel momento.

— Lo credevo addormentato — ella disse; — temevo di svegliarlo.

— Non ho dormito, — risposi; — ho sognato.

— Desto?

— È il miglior modo di sognare.

La signora fece un movimento con gli occhi e con le labbra quasi dicesse:

— Sarà; ma stento a crederlo.

Durante il silenzio che seguì, io riflettei che trovarsi accanto a una graziosa signora, nel ristretto spazio di una carrozza, coi vetri tirati su, dentro quell’atmosfera riscaldata dal calore dei fiati, è sensazione gradevole, quasi voluttuosa, che merita di esser provata almeno una volta, specie quando la signora che viaggia con noi non ci appartiene. Appena però mi accorsi di non essere osservato, tornai, come il giorno innanzi, a guardare attentamente la fuggitiva. L’idea della sua rassomiglianza mi tormentava tuttavia. Il non averla ancora trovata m’impensieriva però assai meno di quel che si agitava dentro di me per cagione di lei; senso indefinito di sentimenti dolcissimi provati tempo addietro, venuti ora lentamente a galla dal più profondo del cuore.

— Ma che doveva importarmi di quella benedetta rassomiglianza?