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Quando egli, nell’intimità di una conversazione, manifestava queste sue idee, i pochi giovani amici che discutevano d’arte con lui gli rispondevano che con tali fantasticaggini non si rinnova la società.

— Il mondo — gli diceva Rubini — non sarà mai interamente popolato da quelli che tu chiami spiriti viventi. Di essi ce n’è appena uno tra dieci milioni di spiriti ordinari, e mi paiono anche troppi. E tu vorresti ficcare l’Ideale fin nell’Architettura!

— Da per tutto. L’Umanità deve arrivare a questo: di non vedere quel che è, e di vedere unicamente quel che apparentemente non è, cioè la sua creazione, il suo Ideale!

— Belle frasi, che si possono barattare, a quattr’occhi, tra amici intimi, i quali sanno qual valore attribuire ad esse e riderne anche, senza nessuna malignità. Ma parlarne seriamente....

— Io ne parlo seriamente.

Capiva di esagerare un po’, ma era convinto che soltanto esagerando si poteva arrivare ad ottenere di raggiungere qualcosa.

Capiva per ciò che quella sua segregazione, quel gran bisogno di silenzio erano un po’ eccessivi per intraprendere e compire il lavoro divenuto, specialmente da due anni, la sua Chimera. Come c’erano stati però grandi poeti che avevano chiesto al vino, all’alcool, all’oppio, alla morfina, l’eccitamento per l’ispirazione, lui, più modesto, meno esigente, aveva bisogno dell’isolamento completo e del gran silenzio per interrogare la sua immaginazione e il suo cuore, per ricercare e ritrovare, come si esprimeva, se stesso.