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Si era ridotto ad abitare, come un eremita, in cima a quella collina, e da mesi non vedeva nessuno all’infuori del vecchio contadino che gli aveva ceduto la sua casetta terrena di due stanze, col tetto a travi e incannicciata, e le imposte delle finestre con due soli vetri.
Un tavolino, una grossa valigia, un mucchio di libri addossati al muro, tre seggiole impagliate, formavano l’arredamento della seconda stanza destinata a studio e a scrittoio.
S’indovinava dalle molte carte confusamente ammonticchiate in un lato del tavolino e dal calamaio di cristallo, da tre portapenne e dal tagliacarte giapponese che occupavano l’altro lato, con la pipa di terracotta e una borsetta di cuoio pel tabacco.
Nella prima stanza, dietro una tenda formata con un vecchio tappeto teso su una cordicella, era il lettino con alto pagliericcio e coperta di lana a colori vivaci. Di faccia, un treppiedi di ferro per la catinella, e, accanto, su breve tavola fissata al muro come mensola, una spazzola, due pettini, un paio di forbicine, un nettaunghie e una spugna.
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