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vecchia di lui, ma vivace e piena di spirito quanto lui: un’amabilissima coppia che gli voleva bene come a un figliuolo. Da anni, le domeniche, a vicenda, i Verdesi desinavano dai Bompiani e i Bompiani dai Verdesi, senza cerimonie, alla buona; e Romano aveva voluto che la gentile abitudine continuasse non ostante ch’egli fosse rimasto solo.
Ordinariamente i Bompiani restavano in casa la sera, e spesso Romano andava a passare qualche ora da loro, che ricevevano sempre un piccolo numero di amici della loro stessa età o poco meno, borghesi agiati, impiegati in riposo, già colleghi del signor Bompiani al Ministero delle Finanze. La conversazione non riusciva straordinariamente divertente quantunque intervenissero le mogli e le figliuole di tanto in tanto. Ma Romano non era intelligenza da poter annoiarvisi. E poi aveva, una sera sì, due sere no, o tutte le sere, un piccolo consiglio da chiedere. Voleva andare a letto con l’animo tranquillo intorno a qualcosa che doveva fare il giorno dopo.
In quei desinari delle domeniche, che continuavano la tradizione delle due famiglie, quando toccava ai due vecchi di salire al secondo piano, la signora Bompiani, vedendo la tavola apparecchiata, non tralasciava mai di esclamare:
— Mi pare, ogni volta, di dover trovare seduta al suo posto la mia povera amica!
— Potessi arrivare almeno — soggiungeva il marito — a vedervi la persona che, un giorno o l’altro l’avrà sostituita! Ma sembra che il caro Verdesi non abbia fretta.
E non di rado accadeva che tutta la conversazione si aggirasse intorno a quel che era stato il gran desiderio della buona signora Verdesi, e che Romano aveva deluso protestando fino all’ultimo: